Ranieri perde Luvumbo e ritrova Nandez. Con i liguri lo scatto decisivo ma guai a prenderli sottogamba. Rialeggia la questione stadio, servono denari. Meglio se della proprietà
Mario Frongia
Il momento di essere uomini o caporali. Il Cagliari che lunedì chiude la trentaquattresima giornata a Marassi con il Genoa, se possibile, deve avere più testa e coscienza di quanto possano valere tutti i punti in palio per l’approdo alla zona salvezza. Domani il Frosinone (28 punti) riceve la Salernitana (15), sabato il Lecce (35) è in casa con il Monza e la Lazio ospita il Verona (31). Domenica l’Udinese (28) va a Bologna, l’Atalanta ospita l’Empoli (31) mentre il Sassuolo (26) gioca a Firenze. Data per quasi spacciata la Salernitana (15) e quasi fuori dalla bagarre salvezza il Lecce, per il resto c’è da essere più pratici e attenti di come si è visto nelle ultime gare. Ad esempio, il primo tempo con la Juve, forse il più tonico e piacevole dell’era dell’allenatore del miracolo risalita in A, per scansare un Genoa che tutto farà meno che regalare il match, potrebbe non bastare. I rossoblù sono a quota 32, i liguri di Gilardino sono salvi da un pezzo. Ma è difficile che, anche se Ranieri e i suoi possono ragionare su quel che è accaduto alle altre, al Ferraris stendano un tappeto rosso. Sarebbe folle solo pensarlo. La partita vale un mattone decisivo per non perdere la categoria. E su questo batte Sir Claudio. A Genova senza Luvumbo, squalificato, ma con Nandez - che difficilmente rimarrà potendo salutare a costo zero e andare dove gli pare (Roma e Napoli?) - in rientro, si deve cercare il risultato un minuto dopo l’altro. Con Petagna che pare possa riaggregarsi al gruppo, Il tecnico di Testaccio sa di non poter sbagliare.
Stadio, come e perché. Dossena e soci alzano l’asticella mentre la proprietà, senza contraddittorio, da Milano pre-Inter ha sventolato il drappo stadio. In settimana i vertici del club dovrebbero incontrare il ministro Abodi per fare il punto sul futuro impianto dedicato a Gigi Riva. Ma pare che il tutto sia capitato per uno strano caso del destino. Capire che senza denari propri sia complicato fare anche uno sgabuzzino è notizia vecchia. Ma stadio o meno, con o senza il business prospettato con l’albergo stellato e i quattromila metri quadri di centro benessere, il ragionamento pare doversi per forza ampliare. Per puro buon senso, regole della trasparenza, del dibattito pubblico e della politica, visione e futuro del capoluogo di regione, coraggio e trasparenza per le decine di migliaia di cagliaritani in zona e per tutti gli sportivi sardi. Senza scordare i residenti che aspettano servizi, decoro, abitazioni. Demagogia? Sì, se chi la chiama in causa ha la schiena al coperto. Dura, vecchia e sofferente realtà per quanti sanno, vivono e conoscono la realtà delll’area che va dal porto a Marina piccola. Tra l’altro, proprio a pochi passi dal futuro impianto, Su Siccu e il quartiere di Sant’Elia, necessitano ben prima della scadenza del 2032 degli Europei all’Italia e alla Turchia, di un poderoso restyling. Una questione di civiltà che viene prima del calcio. Anche perché se è vero che lo stadio - per forza innovativo, polivalente e in grado di autosostenersi per dodici mesi l’anno - è doveroso per Cagliari e l’intera regione, è altrettanto vero che il patron rossoblù, anziché lamentarsi della burocrazia e dei costi dei progetti - pensa un po’ che novità! - può mettere mano al portafogli e procedere. Ma i fatti dicono altro. Nel frattempo, ci sarebbe da capire, come segnalato dal Corpo forestale la scorsa estate, la questione dei 23 milioni di euro di bonifiche per inquinamento da effettuare a Macchiareddu. Ma questa è un’altra pessima storia.